Comunicare con le persone con demenza
Chiara Lachi e Michela Mei
Coordinamento Sistema MTA

Racconto a cura di Giovanna Santinucci (Museo di San Pietro all’Orto, Massa Marittima)

 

Il workshop si è svolto come un vero e proprio laboratorio dove tutti i partecipanti si sono messi in gioco in prima persona partecipando alle attività proposte.

Le conduttrici Chiara Lachi, educatrice museale, e Michela Mei, animatrice geriatrica, hanno una lunga esperienza nelle attività museali con le persone con demenza e hanno proposto al gruppo di lavoro alcune esperienze che sono anche alla base dei corsi di formazione che il Sistema Museale “Musei Toscani per l’Alzheimer” organizza annualmente. Purtroppo negli ultimi due anni, a causa della pandemia, i corsi organizzati si sono svolti on line e quindi la parte pratica è mancata totalmente. Il fatto di potersi trovare e partecipare insieme a questo workshop ha avuto su tutti un coinvolgimento più profondo, vista la lunga e forzata chiusura delle attività in presenza.

Il gruppo che ha partecipato al workshop era costituito da educatrici museali, giovani che stanno svolgendo il servizio civile presso strutture museali e da personale che lavora negli uffici comunali di gestione dei musei, in quest’ultimi due casi senza esperienza diretta di lavoro con le attività Alzheimer.

Il workshop ha voluto proporre una riflessione sui modi alternativi di comunicazione, utili per entrare in relazione con le persone con demenza e aprire una discussione su quale contributo possano dare, in questo senso, i musei allo sviluppo di nuove strategie comunicative. Grazie alle esperienze maturate sia con le attività laboratoriali nei musei, sia con agli scambi nazionali e internazionali che il Sistema Musei Toscani per l’Alzheimer ha attivato, sia con la formazione di educatori e caregiver, sono state codificate delle pratiche, degli approcci e degli strumenti che possono contribuire a trasformare il nostro atteggiamento nei confronti delle persone con demenza per entrare in relazione con loro.

I partecipanti del workshop hanno potuto sperimentare attivamente alcune esperienze di comunicazione alternativa, condividere le proprie impressioni, contribuendo quindi alla discussione sull’arte come piattaforma di comunicazione per le persone che affrontano la sfida di vivere con la demenza.

 

Il workshop si è svolto in tre tempi diversi:

• in aula didattica: per la presentazione del workshop e dei partecipanti;

• nel museo a diretto contatto con le opere, dove sono stati proposti alcuni esercizi da compiere singolarmente, a coppie oppure tutti insieme all’interno di un cerchio;

•di nuovo in aula didattica per nuovi esercizi e per commentare l’intero workshop.

 

 

PRIMO TEMPO:
IN AULA DIDATTICA

All’inizio dell’incontro, insieme ad una presentazione del workshop che è riassunta nella parte iniziale di questo breve resoconto, le conduttrici hanno chiesto ai partecipanti di presentarsi con il proprio nome abbinato ad un gesto. Il nome di ognuno è stato scritto su una targhetta che è stata attaccata alle maglie per tutto il tempo del workshop.  Il gruppo ha quindi iniziato a prendere subito confidenza con la comunicazione alternativa a quella verbale.

Il gruppo si è poi spostato in una sala del Museo del Santa Maria della Scala.

 

 

SECONDO TEMPO:
NEL MUSEO

La sala che è stata scelta, o meglio l’ambiente individuato, è la Sagrestia Vecchia/Chiesa SS. Annunziata:  un ambiente molto ricco poiché non contiene solo opere all’interno delle vetrine, ma è esso stesso un’opera d’arte in quanto è affrescato e presenta inoltre, nei due lati corti, due opere molto grandi e importanti ovvero, da un lato, un polittico quattrocentesco del Vecchietta, e dall’altro un affresco staccato e lì riposizionato raffigurante la “Madonna del Manto” di Domenico di Bartolo. Le vetrine invece racchiudono particolarissimi oggetti liturgici molto interessanti, tra cui reliquiari di varie forme e dimensioni (ampolle, mezzi busti, mani d’argento …), e un libro antico caratterizzato da una copertina ricca di pietre preziose.

Le due educatrici hanno fatto posizionare il gruppo in cerchio all’interno della stanza e hanno proposto vari esercizi:

 

Esercizio 1: Lo sguardo

Il primo esercizio era mirato alla comprensione di una comunicazione alternativa. Le educatrici hanno fatto sistemare i partecipanti in cerchio e hanno proposto di lanciare, con un battito di mano, lo sguardo per incrociare un’altra persona. La difficoltà era nell’essere chiari a lanciare lo sguardo e sostenerlo fino a che la persona che lo ha ricevuto sente che è indirizzato proprio a lui. All’inizio il gioco è stato più semplice perché lo sguardo veniva lanciato insieme a un gesto e la persona che lo riceveva a sua volta doveva riconsegnalo con un gesto delle mani. Poi l’esercizio è stato reso più difficile togliendo il gesto delle mani: in questo caso erano solo gli occhi a lanciare lo sguardo per catturare gli occhi di un’altra persona. In questo secondo esercizio c’è stata qualche incertezza, che però il gruppo è riuscito a “riprendere” e il “giro” dello sguardo ha potuto continuare.

Il gruppo ha riflettuto alla fine dell’esercizio sulla facilità o difficoltà di consegnare e raccogliere lo sguardo, accompagnato oppure no da un gesto, e se è stato più o meno facile seguire il percorso degli sguardi nel gruppo.

 

Ph: Bruno Bruchi, Siena

 

Esercizio 2: Il giornale

Il secondo esercizio è stato “il gioco del giornale”. Sempre in cerchio è stato tirato fuori un quotidiano e, senza parlare, ognuno dei partecipanti, a turno, lo ha usato per trasformarlo in un oggetto o in una situazione. Il giornale è diventato un portatile, un cannocchiale, un pettine, una sciarpa ed altre cose. Questo gioco ha fatto riflettere sul fatto di imparare a lasciarsi andare, ma anche di seguire gli altri nei loro mondi possibili, senza dover per forza rimanere attaccati alla realtà.

 

Ph: Bruno Bruchi, Siena

 

Esercizio 3: “Io vedo”

Le educatrici hanno invitato il gruppo ad esplorare la sala del museo e a scegliere l’opera preferita o che comunque aveva catturato l’attenzione. Una volta che tutti i partecipanti hanno scelto la loro, sono stati distribuiti un foglio e una penna a testa con il compito di riempire il foglio partendo dalla frase: “IO VEDO”. Le educatrici hanno inviato i partecipanti a prendersi il proprio tempo ed a osservare con attenzione tutte le “componenti” dell’opera, dai colori, le linee, le forme, la texture. Non c’era un limite alla forma di comunicazione, i partecipanti potevano esprimersi liberamente sia con parole ma anche con disegni.

Quello che all’inizio è sembrato un impegno gravoso, “riempire tutta la pagina”, invece è stato in generale molto semplice. Tutti i partecipanti hanno concordato su questo nella riflessione condivisa alla fine del laboratorio: il compito assegnato è stato svolto con facilità, dopo un primo momento di difficoltà e incertezza iniziale, ma, superato quello, tutti hanno parlato di fluidità nella scrittura e nella composizione. Alcuni hanno lavorato utilizzando parole e disegni, altri sono arrivati a raccontare ricordi personali, qualcuno ha ideato una storia con i personaggi che ha visto rappresentati nell’opera che ha scelto, ognuno ha veramente messo in gioco se stesso.

Le educatrici hanno fatto notare al gruppo che ogni partecipante si è preso molto tempo nell’osservare l’opera e questo era uno degli scopi dell’esercizio, ovvero quello di far capire l’importanza di rallentare e di prendersi i propri tempi per l’osservazione e la riflessione.

L’esercizio voleva inoltre far riflettere sul fatto che l’opera d’arte può diventare uno strumento di comunicazione con cui si entra in una relazione, senza dover capire l’opera da un punto di vista artistico o storico. L’opera può “comunicare” con l’osservatore sulla base di ciò che l’osservatore conosce e sente: anche le persone con demenza da un’opera d’arte possono ricevere sensazioni, pensieri, parole, che possono sembrare senza senso, ma che hanno un senso per la persona che le prova. In questi casi l’approccio deve essere sempre accogliente e validante verso le esternazioni, anche se sembrano non avere un senso logico.

 

Ph: Bruno Bruchi, Siena

 

Esercizio 4: Lo specchio

Per l’esercizio dello “specchio” è stato proposto di lavorare in coppie: davanti a un’opera d’arte a turno, nella coppia, ognuno ha ideato dei movimenti ispirati all’opera scelta, alle forme, alle figure o all’umore che suggeriva l’opera. L’altra persona della coppia doveva cercare di riprodurre il movimento come se fosse uno specchio. Chi faceva lo specchio poteva però dare un’interpretazione al movimento che stava ricopiando, esagerandolo o attenuandolo, in base allo stato d’animo o alle proprie sensazioni.

Questa attività ha portato a riflettere sul fatto di affidarsi all’altro, di seguirlo nella propria interpretazione del movimento e quindi nel suo mondo possibile, piuttosto che cercare di riportarlo al nostro modo di vedere le cose.  I partecipanti hanno anche riflettuto sulla differenza di sensazioni tra il guidare il movimento e invece il ripeterlo.

 

Ph: Bruno Bruchi, Siena

 

TERZO TEMPO:
IL GRUPPO TORNA NELL’AULA DIDATTICA

Tornati nell’aula didattica i partecipanti hanno commentato gli esercizi e riflettuto sui vari modi di comunicazione alternativi alla parola. Per comodità le riflessioni sono state inserite a conclusione delle descrizioni degli esercizi nei capitoletti precedenti.

Per concludere le due educatrici hanno poi proposto due ulteriori esercizi.

 

 

Esercizio 5: Il movimento

Il quinto esercizio era incentrato sulla percezione del movimento come forma di comunicazione. Anche in questo caso si è lavorato in coppia. Ad ogni coppia è stata fornita una striscia di tulle colorata.  Una persona resta seduta e l’altra con il tulle deve provare ad agevolare il movimento della persona seduta, muovendo le braccia, oppure facendola alzare, sempre sostenendo il movimento con il tulle. Poi è stato sperimentato il bloccaggio della persona: il tulle questa volta è stato usato per bloccare il movimento della persona.

L’esercizio di bloccaggio con il tulle permette di provare su di sé la sensazione che a volte provano le persone anziane, malate o ospedalizzate, di non avere più la padronanza dei propri movimenti, di essere limitati, bloccati.  Al contrario, il tulle utilizzato per agevolare il movimento fa provare la sensazione di essere aiutati, facilitati e mette i partecipanti in contatto con le emozioni positive collegate a questo stato.

Questo esercizio ha fornito delle indicazioni per sviluppare il linguaggio non verbale, per comprendere ciò che gli altri esprimono tramite esso e per entrare maggiormente in empatia con persone che si sentono in qualche modo limitate. Con le persone con Alzheimer si utilizza il tulle esclusivamente come facilitatore del movimento, della condivisione, della danza, del gioco. Gli esercizi con il tulle permettono a tutti di interagire con un’altra persona senza la mediazione linguistica, ma attraverso il linguaggio corporeo. Si crea spontaneamente una sorta di gioco in cui i ruoli cambiano e da cui nasce una danza condivisa.

La riflessione si è ampliata al possibile recupero di movimenti da parte di persone con demenza. Negli anni della vecchiaia, le persone con Alzheimer, che hanno perso l’uso delle parole del vocabolario, ritornano ai movimenti appresi nell’arco di tutta una vita, immagazzinati nella loro memoria. Certi comportamenti, specialmente quelli legati al movimento del corpo, possono sembrare privi di significato, come dondolarsi sul tronco, strofinare le mani, vagare da una stanza all’altra. In realtà presentano un filo conduttore di coerenza e significato e possono essere tentativi di comprensione di una realtà non più ben codificata ed espressione di bisogni relazionali che non possono più essere espressi in maniera astratta.

Se si osserva in questa ottica, il movimento apparentemente senza senso di una persona con demenza (wandering), non è più un comportamento bizzarro su cui proiettare un eccesso di protezione e da reprimere incondizionatamente, ma diviene anche un’occasione in cui la persona affetta da demenza esprime la sua ricerca di un supporto, cognitivo, fisico e relazionale.

 

Il movimento in una persona con demenza può essere interpretato come:

• un’opportunità di esplorazione dello spazio;

• ricerca di una stimolazione sensoriale;

• promuove i contatti con gli altri;

• accresce la scoperta e la familiarità verso gli spazi circostanti;

• mantiene la capacità decisionale tramite la scelta di dove andare;

• esprime il bisogno di allontanarsi da un ambiente ostile o disturbante;

• esprime la ricerca di soddisfazione di alcuni bisogni fisici (fame, sete..);

• esprime la ricerca di soddisfazione di alcuni bisogni psicologici (paura, solitudine..);

• mantiene l’attività motoria ed il benessere fisico con un uso positivo del’ energia;

• evita l’inattività e la noia;

• promuove la riattivazione di schemi motori del passato (andare in ufficio, fare i lavori domestici).

 

Il workshop si è concluso con un ultimo giro di riflessioni, quelle che sono state riportate come prima, per comodità, alla fine di ogni esercizio. È stata fatta però anche una riflessione generale sulle attività svolte nella mattinata, che da una parte costituiscono degli approcci per la comunicazione alternativa a quella verbale per comunicare con le persone con demenza, ma tutto il gruppo ha concordato che questo tipo di approccio può essere utilizzato con tutte le categorie di pubblico, dai bambini agli adulti, in quanto riesce a coinvolgere una sfera emotiva diversa e, se vogliamo, più profonda. L’opera diventa infatti non più solamente “oggetto” da ammirare, ma “altro” con cui creare una relazione e un dialogo attraverso il quale conoscere meglio se stessi e le proprie emozioni.

 

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